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Lezioni per il futuro:
l'Italia non è il malato d'Europa

di Marco Fortis

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11 giugno 2009

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La retorica del declino prevalente negli ultimi anni ha fatto sì che la colpa della bassa crescita del Pil del nostro paese fosse attribuita a una presunta scarsa competitività dell'industria italiana sui mercati internazionali. Ma questa tesi è assolutamente falsa. Infatti, secondo una nostra ricerca, la quota dell'Italia nell'export totale di manufatti non alimentari del G-6 non è mai stata tanto elevata quanto oggi negli ultimi 110 anni, toccando un massimo storico nel 2008, proprio all'inizio dell'attuale crisi economica mondiale, con un surplus con l'estero di 67 miliardi di euro. Anche il Trade Performance Index elaborato dall'Unctad/Wto, d'altronde, pone l'Italia al secondo posto assoluto per competitività nel commercio internazionale dietro la Germania. Dunque, mentre negli altri Paesi le economie si espandevano usando la leva del debito, nei laboriosi capannoni delle nostre fabbriche si compiva un altro miracolo italiano.

Taluni economisti "ultra-liberisti" ora evidenziano che i Pil dei paesi manifatturieri esportatori, cioè le "formiche" Giappone, Germania e Italia, caleranno di più nel 2009 dei Pil dei paesi "cicala", come Usa, Gran Bretagna e Spagna. Il che dimostrerebbe, a loro avviso, la superiorità del modello di sviluppo dei secondi rispetto ai primi. Un'altra falsità. Infatti, ciò sta avvenendo soltanto perché i secondi stanno facendo, fin che potranno, più spesa pubblica dei primi per arginare gli effetti della crisi e non perché siano più "sani".

Dunque l'Italia deve risolvere i suoi problemi strutturali di cui siamo ben consapevoli (a cominciare dal debito pubblico e dal divario Nord-Sud) ma non deve perdere la fiducia nel suo ruolo di potenza manifatturiera. Nonostante gli ammortizzatori sociali e le reti di solidarietà sul territorio, la crisi mondiale colpirà duramente anche il tessuto industriale italiano, perché i nostri paesi clienti, verso cui si dirigono le nostre esportazioni, sono in gravi difficoltà. Ma, quando tornerà la ripresa, ora che tutti i maggiori paesi sono indebitati a livello "aggregato" (pubblico e privato) in misura analoga o anche più dell'Italia, i reali differenziali di crescita verranno non più dall'aumento dei debiti bensì dalla competitività e dalla capacità innovativa dei sistemi produttivi.

L'autore è economista dell'Università Cattolica

11 giugno 2009
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